Parole Gentili

Si viaggiare ma…

La canzone di Battisti l’abbiamo cantata tutti almeno una volta nella vita e a tutti sarà capitato di sognare una vita da nomade senza radici in nessun luogo specifico.

Quando ero ragazza fantasticavo di diventare cittadina del mondo e il mio cuore si emozionava sulle immagini dei film on the road, mentre consumavo gli occhi divorando pagine e pagine dei libri di Bruce Chatwin, scrittore e viaggiatore inarrestabile.

MI SENTIVO UN’AUDACE ESPLORATRICE MENTRE VIAGGIAVO DI NOTTE

A vent’anni il viaggio più lungo che affrontavo era quello tra Napoli, la mia città natale, e Pennadomo, il paesino abruzzese da cui proveniva la mia famiglia e nel quale possedevo una minuscola casa.

Impiegavo ben 12 ore per arrivarci; treno pomeridiano Napoli-Roma, treno notturno Roma-Pescara, corriera all’alba Pescara-Lanciano e infine corriera Lanciano-Pennadomo.

Quanto mi piaceva farlo!

Mi sentivo un’audace esploratrice mentre viaggiavo di notte, ascoltando nel mio walkman la musicassetta di Sergio Caputo che cantava “Un sabato italiano”.

IO SARÓ COSÌ PER TUTTA LA VITA!

Promisi a me stessa che avrei avuto una vita spericolata da vera viaggiatrice, che non avrei vissuto mai più di un anno nello stesso posto e che mi sarei innamorata solo di un uomo intraprendente e giramondo come Bruce Chatwin.

E in effetti quando conobbi Mario, che di mestiere faceva l’attore teatrale, non ci pensai due volte a licenziarmi dalla scuola parificata nella quale insegnavo e a infilare tutti i miei vestiti in due borse lasciando definitivamente Napoli per trasferirmi a Roma, ma solo come base. In realtà partimmo subito per una lunghissima tournée della compagnia del teatro Argentina ed ero stata anche assunta come insegnante dei due bambini che facevano parte del cast degli attori!

RUSSIA, SPAGNA E TUTTA L’ITALIA IN DUE ANNI!

Dopo soli tre mesi di semplici ma comodi alberghi ero esausta, avevo lo stomaco a pezzi per il cibo dei ristoranti e sognavo un letto in cui dormire per almeno dieci notti di seguito.

Cos’era successo?

Semplicemente che c’era una gran differenza tra

ciò che credevo di volere e ciò di cui avevo bisogno.

Tornai alla vita stanziale con l’amaro in bocca.

Mi sentivo sconfitta e provata fisicamente da quell’esperienza che in termini fisici e psicologici mi era costata davvero molto.

MI VERGOGNAVO

Quando gli amici mi chiedevano che ne fosse stato del mio progetto di vivere una vita da nomade mi vergognavo e tacevo subendo il loro sarcasmo.

In quel periodo compresi che se hai delle mire che non rientrano nei parametri che la società riconosce e approva, se pensi e agisci fuori dai binari consentiti, le persone si spaventano perché mischi loro le carte, confondi gli orizzonti e infondi nella loro mente il timore di percorrere una strada obbligata e non scelta.

Allora alcuni di essi diventano cattivi, prima criticando le tue scelte e cercando di convincerti a desistere da ciò che ti stai accingendo a fare e poi sguazzando nella soddisfazione di poterti dire

“Te l’avevo detto!” se non sei riuscito a portare a termine il progetto.

E invece tutti abbiamo diritto a cambiare idea se ci accorgiamo che la strada intrapresa non fa per noi.

Negli anni successivi superai il concorso magistrale e divenni insegnante a tempo indeterminato. Mettemmo su famiglia e nacque Giulia. Impiegai circa cinque secondi ad innamorarmi di lei e la mia vita, da quel momento, prese a scorrere in maniera tranquilla.

Eppure quel senso di fallimento non mi lasciava mai.

LA RIVELAZIONE

San Paolo la ricevette sulla strada per Damasco.

A me accadde fuori scuola mentre attendevo che arrivasse la madre di un’alunna.

Tenevo per mano la bambina, visibilmente preoccupata per il ritardo della sua mamma, dicendole che a breve l’avremmo vista venire verso di noi, quando la madre di un’altra alunna si unì a noi con l’intento di farmi compagnia nell’attesa e di distrarre la bambina facendola giocare nel giardino della scuola con la compagna di classe.

Iniziammo a parlare e mi raccontò di aver frequentato da piccola proprio la nostra scuola.

«Abitava già in questo quartiere?» domandai e lei con un sorriso meraviglioso rispose

«Non solo. Ho la fortuna di avere abitato sempre nella stessa casa, quella in cui sono nata! Non mi sono mai mossa da lì e questa è una delle ragioni che mi permette di svegliarmi felice ogni mattina. Tutto in quella casa mi parla della mia storia e di quella della mia famiglia. In quelle stanze non mi sono mai sentita sola, anche nei momenti più tristi della mia vita».

Restai senza parole. Quella donna aveva vissuto sempre nello stesso posto da quando era nata! Non solo non aveva cambiato nazione, città o quartiere, ma nemmeno casa!

E aveva fatto di ciò che per me rappresentava un limite, la stanzialità estrema, la sua gioia, semplicemente perché aveva dato ascolto al suo cuore.

Quella era la sua strada e lei la percorreva ponendosi una sola domanda

“Sto bene così?”

COSA VUOLE IL MIO CUORE?

Compresi all’istante che la domanda giusta era questa ma anche che non è sempre facile individuare la risposta.

Provate a chiedervi:

Cosa vuole il mio cuore?

Il più delle volte vi stupirete delle parole che immediatamente si paleseranno nella vostra mente, ma capiterà anche che la nebbia dei condizionamenti di una vita non si diradi e non vi permetta di “vedere”.

 

2 METODI INFALLIBILI PER COMPRENDERE IL VOSTRO CUORE.

Quando non riuscite a capire cosa realmente volete ci sono due cose che potete fare.

Ci sono arrivata dopo anni di tentativi e pratiche e posso assicurarvi che funzionano.

1) SOTTRAETE

Prendete carta e penna, gessetto e lavagna, rossetto e specchio e iniziate a scrivere un elenco delle cose che volete fare, ma scrivetele tutte eh! Anche quelle meno impegnative.

Lasciate passare una settimana senza rileggerle, vivendo come se aveste già realizzato ogni vostro desiderio, in pace con voi stessi e con il mondo.

Infine riprendete la lista e depennate tutto il depennabile lasciando solo tre cose, quelle a cui non potete proprio rinunciare.

E ripartite da lì.

2) ASCOLTATE

Osservate le reazioni del vostro corpo quando avete deciso di imbarcarvi in un progetto di vita. Se non avvertite dolori, se lo sentite rilassato in ogni sua parte anzi, pronto allo scatto di una partenza, allora quella è la vostra dimensione, ciò che il vostro cuore desidera.

Altrimenti cambiate i vostri piani, scombinate tutto senza avere il timore di essere giudicati.

Perché fare una vita da nomade può esser entusiasmante, appagante, eccitante…

Ma anche no, se non è ciò che ci fa stare bene.

Milena Maggio
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Milena Maggio

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4 Commenti

  • Roberta

    Che turbinio di emozioni…. bellissimo, grazie ❤️ ma voglio leggerlo e rileggerlo perché c’è tanta ma tanta roba, grandi stimoli come sempre ❤️ per comprendere ed acquisire nuove consapevolezze 🙏

    • Milena Maggio

      Grazie Roberta, scrivo solo ciò che ho sperimentato in prima persona e questo,
      molto probabilmente, rende ogni parola in grado di raggiungere il cuore di chi legge.

  • Roberta

    Ho letto tutti e quattro i post del blog, che meraviglia 💕 “Sì viaggiare ma…” mi ha colpita in modo particolare, le tue parole mi hanno risollevata da un peso che mi porto dietro da sempre…non voler viaggiare. Quando mi confronto con le altre persone mi sento a disagio, sbagliata perché a parere della maggioranza non viaggiare equivale a non vivere. Tante volte mi sono sentita in colpa con la mia famiglia, limitata…ma io sto bene così. Forse dovrei scavare più a fondo sul motivo, paura di allontanarmi, del distacco, dell’imprevisto, dell’ingnoto, di non essere capace di affrontare qualunque difficoltà dovessi incontrare. Le poche volte che ho viaggiato non vedevo l’ora di tornare a Casa.
    Grazie Milena 😘 grazie di averti incontrata 🙏

    • Milena Maggio

      Nell’articolo scrivo proprio di questo cara amica, della necessità di fare le cose nella modalità a noi congeniale. Ciò non toglie al desiderio di comprendere perché abbiamo una reticenza, ma io ho deciso che perché o percome, preferisco muovermi in modo di stare bene nella vita. Grazie del tempo dedicato.

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